Il nostro principale problema deriva dalla mancata integrazione tra questo modello, questa esperienza e le politiche e lell'intervento socio sanitaria.
La Sanità nazionale tende infatti, ad escludere la famiglia dal progetto e dallo sviluppo del programma di riabilitazione del proprio bambino.
Non vorremmo entrare nel merito delle ragioni che hanno portato alla formazione di questa prassi, è certo però, che questo modo di agire coinvolge ingentissime risorse economiche, e che intorno ai cerebrolesi e a tutti i disabili in genere "gira", si è sviluppato un lucroso business.
Quante volte ci è stato detto: "...ma non pensate ai vostri bambini cerebrolesi, pensate al lavoro, alla carriera; state attenti, non lasciatevi coinvolgere troppo perchè poi la famiglia si sfascia, affidateli a noi, ci pensiamo noi...!"
Ora, la nostra esperienza diretta ci dimostra che le cose non stanno affatto così.
Scegliere di occuparsi del proprio bambino non è causa di rottura, anzi, semmai porta la famiglia ad una maggiore coesione, serenità ed unità .
Noi ci vogliamo impegnare affinchè, anche attraverso una più corretta informazione, e la condivisione delle nostre esperienze, cambino alcuni atteggiamenti comuni e diffusi, crollino i preconcetti e pregiudizi, e maturi negli operatori sanitari e in tutta la società , una mentalità nuova.
Questa maturazione non solo andrebbe a nostro vantaggio, ci farebbe sentire finalmente ascoltati e compresi, ma a vantaggio dell'intera società.
Il nostro impegno è spesso frustrato da molti ostacoli, alcuni creati, proprio da quei soggetti con i quali maggiore dovrebbe essere la comprensione e la collaborazione.
Noi pensiamo che la pubblica amministrazione nel settore sociosanitario debba incoraggiare, sostenere, supportare la famiglia come nucleo centrale del processo di cura e riabilitazione, indirizzando le proprie competenze (mediche, terapeutiche, organizzative, di assistenza)a sostegno di questo progetto.
Non si deve colpevolizzare mai la famiglia, anche quella più in difficoltà , ma piuttosto, sostenerla; riconoscere la famiglia quale ambiente naturale per la vita di qualunque bambino e riconoscere il ruolo fondamentale del volontariato.
Pensiamo che la pubblica amministrazione debba incentivare la nascita di strutture e di servizi sul territorio più capillari possibili per rendere, soprattutto al disabile grave, il servizio a misura di ogni singola persona, il quale necessita di strutture e servizi "umanizzati", scuola compresa.
Pensiamo che la pubblica amministrazione debba disincentivare la creazione di strutture e di servizi "mangiasoldi", così come il ricovero contemporaneo di centinaia di persone, con costi inutili e sprechi , e debba favorire invece, la creazione capillare di "case-famiglia" con pochi componenti, unica alternativa valida alla famiglia nei casi necessari.
Pensiamo ancora, che lo Stato si debba impegnare maggiormente affinchè si crei nell'opinione pubblica la consapevolezza che anche il disabile grave è un patrimonio attivo della collettività , e che non si misura la dignità e la felicità dell'uomo con parametri produttivi e/o aziendali.
Pensiamo che la pubblica amministrazione debba abbattere le barriere di ogni genere che ancora si frappongono tra il disabile ed il raggiungimento della massima integrazione sociale, sostenendo iniziative quali corsi, scuole e altro, atte a promuoverne l'autonomia.
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