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La strada della vita di Maria Paola Cassitta

Storia di una mamma.
"Essere mamma, dono di tutte le donne. Essere mamma di un bambino autistico, non è facile, per tante donne."

Io sono madre di Lorenzo, bambino autistico, e a volte penso che mamma sarei stata se il mio bambino fosse stato diverso, “normale”, sinceramente vedendo altre mamme mi viene da pensare che forse non avrei apprezzato o goduto fino in fondo tutti i grandi piccoli momenti di questi 10 anni del mio bambino.
Avrei sentito le sue prime parole, i suoi giochi, le recite all’asilo, lo avrei accompagnato all’allenamento, lo avrei visto innamorarsi, andare alle superiori, partire con gli amici per le vacanze estive, avere la fidanzata, camminare da solo per la strada della sua vita.
Ma no, so che il cammino lo dovremo percorrere insieme, gli dovrò stare sempre accanto finche ne avrò la forza.
Con il passare degli anni è cresciuto, abbiamo fatto il percorso che tante famiglie come noi fanno per cercare di cambiare la sentenza fatta dai medici “non c’è niente da fare”.
E’ arrivato il grande giorno, che ho aspettato con tanta ansia, il suo primo giorno di scuola.
Ho tanto riflettuto su questo e mi sono convinta che la scuola è la via più importante che lui dovrà percorrere per poter essere domani un uomo, che questo è un luogo dove lui ha trovato e troverà sempre amici, dove con i mezzi adeguati potrà esprimere le proprie capacità.
Tutto ciò due anni fa era solo un sogno, un sogno che bisognava costruire nella realtà di tutti i giorni.
Mi emozionava solo comprare lo zaino, che ogni giorno porto sulle mie spalle, il suo diario, i quaderni e tutto il resto.
Avevo preso appuntamento con il dirigente scolastico per parlare della situazione, per sapere quali sarebbero state le sue insegnanti.
Non conoscevo quest’uomo ma già dall’inizio mi diede la sensazione che fosse una persona molto sensibile e disponibile.
Ma venne quel giorno, lo ricordo con le lacrime agli occhi rivedendo le foto che gli feci davanti a quel grande portone, erano lacrime di gioia e di paura, non sapevo cosa sarebbe successo, ma la forza di salire quei gradini ed entrare in quel grande atrio me la diede proprio lui con i suoi sorrisi e quel suo sguardo che io mamma capivo erano di contentezza.
Ancora non sapevo che avrei dovuto affrontare incomprensioni, asti, da parte di chi in un primo momento pensava che una mamma voleva saperne di più, voleva invadere un territorio che fino a quel momento, nella scuola era stato esclusivamente delle insegnanti e degli alunni.
Si presentò la prima difficoltà, il mio bambino non poteva frequentare perché ancora non c’era l’insegnante di sostegno e con una classe molto numerosa era impossibile la gestione della situazione da parte dell’insegnante.
Ma Lorenzo aveva diritto di frequentare come tutti gli altri bambini.
Allora la rivoluzione!
La mamma va a scuola con il proprio figlio finche non verrà nominata l’insegnante di sostegno, per due ore al giorno.
Queste le parole scritte su un contratto firmato da me, dal preside e dalle insegnanti.
All’inizio non mi resi bene conto di cosa avrei dovuto fare tutte le mattine, ma piano, piano è diventato normale ogni mattina, prima mandare a scuola l’altra mia bambina e poi, circa un’ora dopo, andarci io con Lorenzo.
Che strano a trentaquattro anni sedersi in quelle minuscole sedie circondata da ventiquattro bambini di sei anni e con accanto mio figlio di otto che a confronto era un gigante.
Inizia così a passare il tempo, a spiegare quali fossero i metodi usati in famiglia per comunicare con il bambino, a vedere giorno dopo giorno i quaderni riempirsi di vocali, insiemi e disegni.
Arrivata l’ora della ricreazione gli altri bambini si avvicinavano a me e chiamandomi maestra mi chiedevano il permesso di andare al bagno, io dovevo spiegare loro che non ero la maestra e che avrebbero dovuto rivolgersi a lei.
Altri invece incuriositi mi chiedevano di vedere i quaderni pieni di figure che ogni giorno con l’aiuto del computer preparavo perché Lorenzo potesse svolgere i suoi compiti e poi la curiosità di sapere sui tanti perché, perchè Lorenzo non parla, perché urla, perché scrive sulla tastiera del computer, perché la mia mamma non può venire a scuola e tu si, perché voi andate via prima, mi regali un pesciolino di carta?
Davanti a tanta curiosità mi sentivo felice di dare tante risposte, ma allo steso tempo triste perché chi avrebbe dovuto farmi quelle domande, invece, non vedeva l’ora che me ne andassi.
Nonostante tutto ho continuato tutti i giorni a d entrate nella prima A, dovevo a tutti i costi far capire a quelle persone che io ero la sola persona che avrebbe potuto spiegare loro chi era Lorenzo, mio figlio a cui in otto anni ho cercato di dare il meglio.
Loro non potevano capire quale sacrificio fosse il mio, dover fare la mamma, la moglie e in quel momento anche la maestra.
Loro non sapevano dei disturbi del sonno di mio figlio, delle tante ore della notte passate ad aspettare che si addormentasse, delle albe viste dalla finestra della cucina aspettando che suonasse la sveglia per gli altri e cominciare un’altra giornata di lavoro, dei pomeriggi passati a fare gli esercizi per la riabilitazione, delle ore al computer per preparare il materiale per il giorno dopo e le esercitazioni del bambino nello scrivere, dei panni cambiati.
Finalmente dopo circa tre settimane arriva la nuova insegnante, una ragazza che non aveva esperienza di bambini come Lorenzo, che ha avuto l’umiltà di chiedermi collaborazione e aiuto per capire.
Questo è stato per me un momento di felicità, un’energia, che spesso mi chiedo da dove arrivi ma poi trovo la risposta: mi è stato dato un compito nella mia vita e con questo la forza per poterlo portare avanti.
Ho, per prima cosa chiesto all’insegnante di darmi del tu, ho chiesto con il cuore in mano che ci fosse tra noi un rapporto di amicizia, che pensasse che io avevo fiducia in lei e gli dissi proprio queste parole: ti affido mio figlio, giudicalo per quello che è e non per quello che sembra.
Dopo alcuni giorni passati in classe fianco a fianco con la nuova maestra a spiegare è arrivato il momento di dover andare via, di chiudermi alle spalle il portone e tornarmene a casa ad aspettare che Lorenzo tornasse .
Era strano quando le persone per strada mi chiedevano come mai fossi in giro, da sola, e io rispondevo “Lorenzo è a scuola”.
Che sensazione, un piccolo passo verso la normalità, la mamma che la mattina si prepara, porta i figli a scuola e poi va a comprare il pane e a fare la spesa per preparare il pranzo.
Ma il lavoro non era ancora finito, dovevo ancora scontrarmi con altre persone, andare alla ricerca delle leggi che tutelano il diritto allo studio dei disabili perché tutto funzionasse ancora meglio.
L’assistenza educativa era la figura che mancava ancora a Lorenzo perché potesse frequentare regolarmente la scuola, allora inizia l’ennesima battaglia che però alla fine vinsi, ero disposta a tutto anche a disturbare il Ministro della Pubblica Istruzione per raggiungere gli obiettivi che mi ero posta.
La cosa importante di tutto questo é che Lorenzo ha una possibilità in più, come ho detto in un convegno fatto nella mia scuola dove ho portato la mia testimonianza per far capire ad altre mamme come me che se crediamo noi per prime nei nostri figli possiamo ottenere tanto per loro.
Oggi Lorenzo frequenta la seconda elementare, è stato promosso l’anno scorso con la media del distinto e quest’anno i voti sono ancora più alti.
Continuo ad andare a parlare con il preside per cercare di sensibilizzare sempre di più la società, sono la rappresentante di classe, rappresento le famiglie nel Gruppo Handicap della scuola.
Dieci anni fa ho messo al mondo una piccola creatura indifesa, pensavo di essere fortunata, infatti, dopo la mia prima figlia era arrivato il maschietto.
Eravamo la famiglia perfetta, ero una donna che avrebbe potuto, dopo qualche anno di sacrificio, cominciare a lavorare, ad andare dal parrucchiere più di frequente, ad andare in palestra con le amiche e veder crescere i miei figli e diventare indipendenti.
Invece ho dovuto modificare i mie programmi, lavoro molto lo stesso (ma nessuno mi paga!), i capelli li pettino e via e la ginnastica la faccio prendendo Lorenzo in braccio.
Nonostante tutto c’è una sola cosa che in questo momento aspetto con impazienza e desidero più di ogni altra cosa al mondo, il giorno che tante donne hanno la fortuna di avere.
Sentire Lorenzo chiamarmi “mamma”.

 

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