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Storia di Luisanna Frau

Presentata alla II Conferenza Famiglia e disabilità.
"Il 21 agosto 1989, è nata la nostra meravigliosa figlia Maria Antonietta."
Immagine rappresentativa

Nessun nome poteva essere più appropriato…il nome di una regina che ha perso la testa…come per la mia principessa alla quale un cordone ombelicale ha causato la sua cerebrolesione.
Tanti sogni, tanti progetti andati in fumo in un momento.

Dopo un mese di terapia intensiva, ci ritrovammo a casa un’esserino che non sorrideva, non mostrava attenzione a niente, non cercava di prendere nessun gioco; anzi piangeva in continuazione notte e giorno. Non sapevamo nulla di eventuali problemi di ritardi psico-motori: cosa che scoprimmo quando Mary aveva gia’ 3 mesi.

Ricorderò sempre quel giorno, la paura che mi prese, il pianto in macchina mentre stringevo quel fagottino piangente. Pianto che si fermò subito alle parole di mio marito: “se questa bambina è nata in casa nostra, vuol dire che noi siamo i genitori adatti a lei”
Non crediamo di essere dei genitori speciali, siamo genitori che hanno cambiato mentalità per uniformarsi alle esigenze della loro figlia.
Prima avevo paura della disabilità, allontanavo lo sguardo da una persona cerebrolesa, non volevo mostrarmi curiosa o invadente, avevo paura di offendere con le mie parole o il mio sguardo…. Con Mary ho capito che è molto più offensivo girare lo sguardo, che sentire qualcuno che ti chiede quali problemi ha.

Passano circa tre anni, e in questo periodo ci rendiamo conto che siamo in balia degli altri, sono i medici che prendono le decisioni per noi, anche se ci ascoltano si vede lo scetticismo nei loro occhi quando sosteniamo che nostra figlia capisce. Tanti giri di parole per spiegarmi cosa è l’intelligenza… ma io ero sicura che quello che vedevo negli occhi di mia figlia era intelligenza, ma non riusciva a venire fuori.
Quindi è scattato in noi genitori la ribellione: eravamo i genitori di Mary, se non ci credevamo noi in nostra figlia nessuno ci avrebbe creduto; era nostro compito educarla e aiutarla a integrarsi nel mondo.
Questa presa di posizione da parte di noi genitori è stata anche sostenuta dal fatto che eravamo membri dell’associazione familiare A.B.C. dove abbiamo conosciuto altre famiglia con le quale confrontarci, prendere esempio dagli sbagli fatti dagli altri per non farli noi: insomma l’associazione che ci dà il sostegno nelle nostre lotte.
Abbiamo fatto una scelta di vita familiare: non avremmo delegato a nessuno il nostro diritto di genitori a realizzare un progetto di vita il migliore possibile per nostra figlia; non avremmo affidato nostra figlia a un istituto, convinti che nessuna struttura, per quanto bene organizzata, potesse dare alla bambina le cure materne e paterne che si sono rivelate indispensabili per la sua sopravvivenza; ci siamo impegnati con tutto quanto era nelle nostre possibilità per provvedere ai suoi bisogni, dai più elementari a quelli più complessi come alla riabilitazione fisica, lo sviluppo intellettivo, l’integrazione sociale, ecc.

Lo abbiamo fatto con gioia. Tuttavia non sono mancate le fatiche, le rinunce, le spese economiche e le lotte. Abbiamo avuto grandi soddisfazioni: non eravamo più solo noi genitori a riconoscere in Mary l’intelligenza ma anche i tanti volontari che collaboravano con noi durante le nostre giornate vedevano tutto questo: il lieve sorriso, la risposta di un si o un no con le mani, la gioia di Mary nel leggere un libro.
Quella bambina che piangeva sempre era cambiata, stava venendo fuori dal suo guscio.

I nostri progetti per lei stavano cominciando a dare frutti.
Era arrivato il momento del primo passo verso la sua indipendenza: la scuola.
Mary ha iniziato a frequentare la scuola all'età di 10 anni. È stata una decisione molto meditata e sofferta. Avevamo paura del fatto che Mary non parlava e quindi non esprimendosi ci fosse il rischio che nella scuola venisse sottovalutata la sua intelligenza con la tragiche conseguenze viste nelle tante esperienze di altri bambini cerebrolesi, ma comunque era un rischio da correre perché Mary smettesse di usare i genitori come mezzo x comunicare ma lo cominciasse a fare da se, senza la presenza della mamma. Oggi Mary frequenta la 1 liceo scientifico, con fatica, cercando di superare i suoi problemi, comunica con i compagni e le insegnanti.

In tutto il percorso finora descritto siamo sempre fatti aiutare da volontari, persone che hanno condiviso la filosofia della nostra famiglia: credere in Mary, nelle sue capacità, nella sua intelligenza; stimolarla a migliorarsi.
Come famiglia non abbiamo mai fatto richiesta di un servizio di assistenza al Comune; non lo ritenevamo utile e specialmente adeguato allo stile di vita che avevamo intrapreso. Non ci serviva un servizio a pioggia che ci dava solo ore di assistenza ma ci serviva un progetto con degli obiettivi, delle metodologie, dei tempi idonei a Mary.
Nel 2000 l’ABC ci informa della legge 162 e dei progetti personalizzati. Questo era adatto alla nostra famiglia: potevamo disegnare un progetto su misura di Mary. Un progetto che prevedesse la collaborazione di altre figure al di fuori della famiglia che lavorassero al progetto di indipendenza di Mary, aiutarla a “staccarsi” dai genitori.
Era come se andassimo da un sarto a farci fare un abito su misura. Potremmo comprarlo pronto in un centro commerciale ma non sarà mai perfetto. Invece se ci rivolgiamo ad un sarto, questo ci garantirà un abito adatto a noi, lo cucirà secondo le nostre esigenze personali. Ognuno avrà l’abito perfetto per il suo corpo.
Lo stesso avviene con i progetti personalizzati della legge 162.
Importante la coprogettazione con il Comune. Il Comune garantisce e tutela la persona di Mary, una persona che ha dei diritti come ogni cittadino. Se prima dell’avvento di questi progetti, Mary era sconosciuta o era uno dei tanti disabili della comunità, ora ha acquisito una sua figura, dei suoi diritti. Garantisce alla persona di Mary sostenendo il progetto che i familiari ritengono idoneo, garantisce un controllo del rispetto delle leggi, garantisce un controllo del buon andamento del progetto e alla fine riassume le verifiche della famiglia e dei collaboratori sul raggiungimento degli obiettivi del progetto stesso.
Abbiamo progettato un piano idoneo alle esigenze di Mary e abbiamo scelto come operatori di questo progetto delle persone che già conoscevano Mary e che condividevano la nostra filosofia familiare. È stato molto importante la possibilità di scegliere l’operatore perché Mary risponde bene solo quando c’è un intenso rapporto di empatia con la persona con cui lavora.
I nostri iniziali obiettivi erano migliorare la vita di Mary e alleggerire il carico familiare. Ma già con il primo progetto abbiamo scoperto di aver raggiunto un obiettivo molto più importante: Mary aveva imparato a staccarsi dalla mamma, si era resa indipendente. Come ogni bambino vuole mangiare da solo, non vuole essere imboccato dalla mamma, anche Mary aveva raggiunto questo obiettivo: non poteva farlo con le sue mani ma erano le mani di un assistente e non quelle della mamma.
Negli anni il nostro progetto è andato avanti con piccole modifiche, abbiamo adattato sempre ogni cosa alle nuove esigenze di Mary. Negli anni anche i collaboratori sono cambiati ma ogni volta abbiamo scelto persone che condividessero le nostre idee.
Un altro passo avanti verso la capacità di scelta di Mary ci è stata data quando dovendo sostituire l’educatore ci siamo fidati del sorriso di Mary: ha scelto la persona giusta, meglio di quanto potessimo fare noi genitori.

Forse a voi che mi ascoltate sembreranno piccole cose, ma per noi sono grandi conquiste.
Fin dalla nascita di Mary, noi genitori abbiamo fatto parte della sua vita per ogni sua esigenza e bisogno, il nostro compito è aiutarla ad essere indipendente da noi, aiutarla a volare da sola.
Ma poi tutto questo non è quello che fanno tutti i genitori di questo mondo?

 

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